Appunti e considerazioni leggendo J. Clair
L’arte è fuori dal tempo. Se mai, si potrebbe dire che non ci sarebbe Michelangelo senza Giotto, perché comunque i grandi hanno sempre guardato al passato, c’è un filo, direi, che lega l’arte come il pensiero. Per questo io non credo che l’artista posso fare a meno del passato, ma farne tesoro, dialogando, considerando e portando dentro di sé quello che c’è di vivo, non per un superamento ma per un arricchimento.
Penso invece che l’arte del novecento abbia voluto una rottura più radicale che in altre epoche.
Credo molto in quello che sostiene J. Clair :” La “modernitas” cancellava il criterio geografico ma erigeva contemporaneamente e insidiosamente il criterio cronologico.” Lo stesso Baudelaire, che forse si può considerare il più autentico tra i padri dell’arte moderna, diceva che la modernità è la metà dell’arte “l’autre moitie est l’eternal et l’immutable”.
Vorrei riportare da J. Clair un episodio che riguardava Egon Schiele. In prigione per immoralità, scrive che l’arte è eterna nel suo principio e non ubbidisce al tempo. Lo stesso giorno dipinge un acquerello rappresentando quello che vede nella sua cella… a quegli oggetti miserabili e fortuiti infonde la propria vita come se non sopportasse che non avessero un senso. In un angolo annota: l’arte non può essere moderna, l’arte ritorna eternamente all’origine.
Amo l’arte figurativa proprio perché mi costringe a una lotta: pone dei limiti, ma io sento che i limiti non frenano, anzi stimolano la creatività. Vanno conosciuti, e solo così superati, quando è necessario. Le figure sono guide da cui estrarre uno o più segni essenziali per esprimere un’idea. Non un segno di meno ne’ uno di più che potrebbe distrarre. Anche in questo consiste l’arte del levare di cui parlano i grandi maestri e poeti. E le conquiste più vere sono quelle che richiedono più fatica. Inoltre, così come usiamo le parole, perché non servirsi delle immagini?
Non so se riuscirò, ma il mio intento sarebbe proprio quello di usare l’immagine per spingere chi osserva ad andare oltre e non fermarsi alle apparenze. E questo proprio perché mi sembra che il mondo di oggi, non solo dell’arte, viva un paradosso: da un lato si sono combattute le forme come sintomi di inautenticità ,dall’altro viviamo in un mondo materialista, che ha creato nuovi formalismi.
Le strade sono tante, spesso già percorse. Si può costruire un rapporto insolito tra lo spazio e l’oggetto; si può variare un colore rispetto al naturale; si possono associare cose fra loro in modo inusuale; si può eliminare volontariamente la prospettiva (Florenskij, La prospettiva rovesciata, un libro fondamentale). Ci si può servire di un’immagine che ha un valore simbolico e qui ci sarebbe da parlare a lungo della differenza tra uso del simbolo e corrente del simbolismo, così come della perdita di significati simbolici che costituivano un linguaggio comune.
Il simbolo per Florenskij è un ponte tra il visibile e l’invisibile. Credo che oggi sarebbe importante recuperare il linguaggio simbolico nel suo significato più profondo.